Arles 2005, l’assordante assenza degli artisti italiani

Pagine di Fotografia Italiana | N. 5 – Autunno 2005
Articolo di Fabio Castelli. Download pdf >>

L’atmosfera che si respirava molti anni fa ad Arles, e per chi scrive queste note la prima volta è stata più di venticinque anni fa, era quella di una grande kermesse culturale e internazionale consumata nei dolci luoghi della Provenza. I fotografi di tutto il mondo arrivavano nella splendida cittadina dalle nobili origini romane quasi con lo stesso spirito con cui poco lontano, a Saintes Maries de la Mer, sempre in Camargue, si riuniscono una volta l’anno gli zingari. Facevamo parte di una ristretta famiglia, ancora quasi sconosciuta al grande mercato; noi, pochi collezionisti, e loro, pochi artisti, davamo vita a grandi riunioni e incontri pieni di fervore e passione intellettuale, intervallati da lunghi bagni di mare e di sole alle foci del Rodano, dove alla spicciolata, ma spiritualmente tutti insieme, ci regalavamo qualche ora di tregua durante le ore più calde. Ricordo, tra gli altri, Joan Fontcuberta – che cito perché quest’anno era sua una delle mostre monografiche più interessanti – che ai piedi della scala dell’Hotel d’Arlatan, cuore della vita dei “Rencontres”, seduto su una sedia con un tavolino di ghisa davanti, vendeva le sue opere quasi fosse a una bancarella del mercato. Alvarez Bravo si aggirava tra mostre e fotografi in cerca di opere per una grande collezione messicana, mentre Franco Fontana, istrionico animatore di pranzi e cene, consolidava la sua notorietà: proprio ad Arles acquistai per la prima volta alcune sue opere e ne divenni subito amico. Io stesso nell’atrio dello stesso albergo ricevevo gli autori e visionavo i loro portfolii, dispensando anche pareri e consigli, autorizzato in questo dal mio ruolo di quasi unico collezionista presente. Certo forse era tutto molto più naïf ma fu ad Arles che la fotografia, allora ancora misconosciuta in Europa, cominciò a far sentire la sua presenza nel vecchio continente, tanto che “Les Rencontres de la photographie” divennero uno degli eventi più importanti della stagione culturale ed artistica europea. Purtroppo un po’ di questa atmosfera si è persa ma si percepisce ancora un’aura di fascino, curiosità e colore che questo mondo di artisti e amanti della fotografia, che si muovono come un’onda di risacca tra i vicoli di pietra di questa splendida cittadina, sono ancora in grado di trasmettere. In questo contesto, che resta comunque intere ssante e importante, ho dovuto constatare con grande rincrescimento la pressoché totale assenza di artisti italiani, eccettuata la sparuta presenza al Musée Reattu, di opere di alcuni autori provenienti dalla forte tradizione della fotografia dell’Emilia Romagna. Cito tra tutti Vasco Ascolini di cui riproduciamo un’opera esposta in questa mostra e già apparsa nella sua personale tenutasi durante i “Rencontres” di Arles nel 1991.
Tranne loro nessun altro italiano ha rappresentato nell’edizione di quest’anno il nostro Paese, facendo rimpiangere i tempi di quando Lanfranco Colombo per un verso, e Giovanna Calvenzi per un altro, riuscivano ad accendere i riflettori sui nostri autori, tributando loro il giusto riconoscimento necessario a riequilibrare a presenza della fotografia italiana nel contesto internazionale. Al malessere provocato dalla quasi totale assenza di autori italiani va ad aggiungersi l’altrettanta quasi totale assenza di libri di fotografia presentati per il premio per il miglior libro o catalogo editato tra il 1 giugno 2004 e il 31 maggio 2005. Nella infinita teoria di libri presentati sui lunghissimi tavoli collocati sotto i capannoni dell’“Atelier de Chandronnerie” – affascinanti esempi di archeologia industriale – non c’erano più di quattro o cinque volumi di editori italiani. Senza voler scatenare nessuna polemica ma soltanto per introdurre un elemento dialettico – e anche stimolato dall’intervista a Maurizio Cattelan, a cura di Alessandro Riva in “Magazine n. 28” del “Corriere della Sera”, sul suo rapporto con Vanessa Beecroft e sulla diatriba di chi avesse rubato l’idea all’altro, – non posso trascurare la sorpresa che mi ha colto nel vedere le opere di un autore a cui è stato assegnato uno dei premi “Dialogue de l’Humanité d’Arles”, 2005. Il nome dell’artista è Yuji Ono, nato nel 1968 a Fukuoka-Kuen in Giappone, e le opere presentate sembrano la versione in bianco e nero, tardiva, delle “Icone di Luce” di Silvio Wolf. Sul catalogo dei ”Rencontres” 2005 Yuji Ono appare con una sua opera, che qui pubblichiamo, intitolata “Jeune garçon Fragonard 1995”. Il dato singolare è che tutte le mostre e i cataloghi di Silvio Wolf relativi al suo lavoro “Icone di luce” sono antecedenti a tale data. E in particolare appare ancora più singolare il fatto che Silvio Wolf abbia portato questo suo lavoro in Giappone nel 1994, partecipando alla mostra “Mistero e Mito” presso il Museum of Art di Fukuyama. Può essere un caso che i due artisti abbiano compiuto una ricerca sulla luce arrivando alla stessa espressione artistica quasi insieme; ma non posso non notare, oltre alla sostanziale assenza degli artisti italiani, il fatto che è stato premiato un lavoro con opere simili a o p e re realizzate in prima battuta proprio da un artista italiano.