Collezionismo e mercato, vent’anni dopo

Pagine di Fotografia Italiana | N. 3 – Primavera 2005
Articolo di Giuliana Scimé e Fabio Castelli. Download pdf >>

 

Giuliana Scimé intervista Fabio Castelli sugli stessi temi affrontati per European Photography nel 1983

Caro Fabio, ci conosciamo da tantissimi anni e non abbiamo perso i contatti.
Di recente, nell’ennesimo tentativo di rimettere in ordine la mia biblioteca, ho ritrovato un vecchio numero di European Photography. Risale al 1983 e ho riscoperto un’intervista che mi avevi rilasciato all’epoca. Un’epoca pioneristica per il collezionismo in Italia, e forse tu sei stato davvero il primo serio e determinato collezionista di fotografia nel nostro paese. Per quanto riguarda i critici, allora scrissi che eravamo ‘gli ultimi snob’ che si permettevano un mestiere non riconosciuto, con tutte le conseguenze che abbiamo pagato sulla nostra pelle.
Sono passati più di vent’anni. Che cosa è cambiato?

«Tante cose per me. L’approccio iniziale con la fotografia era il naturale proseguimento della mia collezione di grafica. Oggi la fotografia è un mezzo espressivo consolidato nel mondo dell’arte contemporanea. Il mio tempo dedicato all’hobby, al tempo libero, allo ‘svago’ si è trasformato in attività primaria: ho avuto la grande fortuna di coniugare la passione con la professione.
«L’interesse per la fotografia si è focalizzato, negli ultimi due anni, nel progetto di Fotografia Italiana. In passato ho conosciuto quasi tutti gli autori italiani, almeno quelli che avevano più da dire, incontrandoli come collezionista. Oggi questi rapporti si stanno consolidando sempre più con molti di loro e sono rapporti gratificanti che spesso sfociano nell’amicizia.
«Come è ormai noto l’obiettivo della galleria è di portare gli autori italiani, anche i più giovani e bravi, ad una visibilità maggiore che, nel nostro progetto, ambisce a toccare in futuro anche un pubblico internazionale, con l’organizzazione di mostre ed eventi in giro per il mondo».

Perché la galleria e come è avvenuto?

«È stato un felice incontro con Nicoletta Rusconi, con il suo grande entusiasmo e voglia di agire, avendo lei la possibilità di allargare il mercato della fotografia d’arte ad altri collezionisti. Ho messo a disposizione la mia esperienza e conoscenza nel settore specifico, la fotografia, e l’arte contemporanea in genere. «In passato sono stato anche un imprenditore: la galleria è una sorta di azienda dell’arte, abbiamo messo insieme le nostre forze ed è nata Fotografia Italiana.

«Il risultato è lusinghiero, con un’ambizione: riuscire a creare rapporti internazionali, scambi di nostri artisti con l’estero. Creare un circuito di belle mostre con gallerie di primaria importanza a Londra, Parigi, Berlino, New York… ed esportare i nostri autori».

Avete dato vita ad una galleria, con Nicoletta Rusconi avete altri progetti, di giusta ambizione, che saranno, vi auguro e mi auguro, determinanti per far riconoscere la fotografia italiana per quello che davvero vale. Avete avvicinato alla fotografia, collezionisti d’arte contemporanea che la ignoravano. Nell’intervista del 1983, affermavi che “In futuro, soltanto opere di grande qualità sopravviveranno” e sono perfettamente d’accordo. Aggiungevi, però, che “In fotografia, i vintage”.
Sei sempre della stessa opinione?

«A quell’epoca la mia collezione aveva un carattere particolarmente didattico. È stato importante per me, per conoscere. Avevo bisogno di partire dagli ‘incunaboli’, attitudine che derivava dalla mia collezione di grafica. «Oggi l’approccio è diverso, molto più libero. Se prima le scelte scaturivano dalla mia collezione ora individuo progetti per la galleria di largo respiro. Un vero problema sono le tirature e la confusione dilagante.
«Mi piacerebbe organizzare, e lo farò, una tavola rotonda con artisti, critici, collezionisti… Ci sono molte scuole di pensiero, tutte devono essere rispettate perché ognuna ha delle ragioni su come gli artisti intendono fare fotografia: open edition, tirature limitate, misure diverse ognuna con una tiratura… troppa confusione. L’importante è darsi una regolamentazione univoca, accettata da tutti gli operatori, nazionali e internazionali.
«Il mercato si basa sulla domanda e sull’offerta, se l’offerta è ampia bisogna essere consapevoli delle conseguenze economiche. Un artista può fare delle tirature aperte, però deve essere consapevole che il prezzo del suo lavoro non potrà mai raggiungere il valore economico, a parità di importanza e notorietà, di un altro artista che ha scelto la tiratura limitata.
«Nel mercato attuale il vintage, soprattutto per la fotografia storica, è il mezzo per poter essere garantiti che determinate opere siano numericamente poche, caratteristica che per molti collezionisti è fondamentale. Oggi non sono più così strettamente legato al vintage, anche perché tante volte i vintage non esistono in quanto molti autori stampano per la prima volta, dopo tanti anni dallo scatto, i negativi che non avevano mai utilizzato prima.
«Ripeto che occorrono invece regole precise, rigore assoluto sulle tirature. Nella nostra galleria, gli autori producono tirature di 12, 10, 7, 5 a volte con misure diverse, ma tutte facenti parte della stessa tiratura.
«Perché un collezionista d’arte contemporanea possa accettare un’opera di cui possono esistere più copie, è fondamentale che sia tranquillo sulla correttezza delle tirature e al riparo dalle pratiche truffaldine, tipo l’uso delle prove di artista non numerate e quello di tirature diverse a seconda delle dimensioni della stessa immagine».

Seguite una linea nella vostra galleria?

«Non solo abbiamo una linea, ma è la chiave del nostro progetto. Stiamo presentando la fotografia italiana ad un pubblico che la conosce poco. Collezionisti che conoscono l’arte contemporanea, ma non la fotografia come linguaggio proprio. Sto cercando di dare una risposta a gusti ed esigenze diverse, per questo la scelta di artisti e stili è ampia, ma il denominatore comune è la qualità e il lavoro interessante. Le nostre mostre hanno sempre avuto una risposta forte, anche di vendite, offrendo ai diversi collezionisti risposte coerenti a quello che loro cercavano».

Mi piace appropriarmi della frase di Martin Luther King: Have you a dream ?

«Un sogno potrebbe essere quello di vedere le istituzioni italiane collaborare al riconoscimento degli artisti contemporanei del nostro paese mediante l’organizzazione di mostre adeguate che permettano di dare credibilità e supporto agli artisti che, in tal modo, potrebbero essere più credibili e visibili, aspirando ad accedere al circuito internazionale». Non c’è stata mai una volontà politica nel promuovere la fotografia. Le mostre attuali a Palazzo Reale e in altri spazi, in realtà sono per il pubblico, perché si sono accorti che la gente accorre numerosa alle mostre di fotografia.
«Il rischio è l’occasionalità, la superficialità: si fanno mostre di reportage, moda, si mescola tutto. Il pubblico non è in grado di comprendere le differenze. Se le istituzioni si muovono bisogna che lo facciano con un rigore che permetta al pubblico di capire e discernere quello che vanno a vedere, altrimenti poi non sapranno che cosa è la fotografia d’arte e non».