Fabio Castelli

IMPRENDITORE CULTURALE

Percorso delle

COLLEZIONI

Edgar Chahine, Monsier Gerbault, 1912 circa

“Ho orientato la mia collezione… sulla ricerca di testimonianze significative dall'inizio della storia della stampa alla fotografia che, come collezionista, considero la naturale continuazione della grafica.”

Abitazione FC durante lo studio per la presentazione di una mostra, 1998
Paolo Gioli, Autoritratto Omaggio a Hippolyte Bayard, 1981
Ichikawa Komazo III, The Actor, 1789-1799

Si ripropone un’intervista a Fabio Castelli pubblicata nel 1979 sulla rivista “l’Arte a Stampa”, perché, come dichiara Castelli “rileggendola mi sono accorto che l’approccio iniziale con cui ho affrontato come costruire la collezione, non è mai mutato e che potrei renderla attuale aggiungendo i 45 anni, circa, di attività che si sono via via sempre di più incanalati verso il mezzo fotografico, indirizzando la mia attenzione sia riguardo alle nuove acquisizioni per la collezione, sia riguardo alla mia attività  imprenditoriale, durante la quale la fotografia è sempre stata al centro dei miei progetti di Arte e Impresa. Mi fa piacere anche sottolineare che la mia curiosità e studio verso questo straordinario mezzo di comunicazione e di Arte inizia circa nel 1970 divenendo, intorno agli anni 2000, il centro della mia attività lavorativa, periodo che mi piace considerare come l’inizio della mia seconda vita”.

Da “L’arte a Stampa” gennaio-febbraio 1979     N.5 Rivista di storia, tecnica di attualità della stampa originale d’arte

Abbiamo chiesto a un noto collezionista di grafica (intendiamo qui con questo termine generico le incisioni, le litografie, i disegni e anche le fotografie) per quali ragioni e con quali criteri egli abbia costituito la sua raccolta. Fabio Castelli è un collezionista ad alto livello da oltre dieci anni, e ancora freschi sono in lui gli orientamenti seguiti e le motivazioni preferite nella scelta delle opere. Qui il lettore troverà un “come” e un “perché” valido probabilmente anche per le raccolte più piccole.

“Per un collezionista di stampe di oggi è impensabile pretendere di emulare i grandi del passato come Mariette o Barnard o anche quelli dell’inizio del secolo come Rothschild e Morgan. Temo che l’ambizione di organizzare raccolte simili sarebbe oggi facilmente frustrata, anche tralasciando il problema dei prezzi, soprattutto per la ormai enorme difficoltà di reperire sul mercato esemplari, in particolare di maestri antichi, eccezionali per qualità e conservazione.

È per questa ragione, ed anche per un mio interesse personale specifico, che ho orientato la mia collezione non tanto su un particolare periodo storico né tanto meno su un singolo autore, ma sulla ricerca di testimonianze significative dall’inizio della storia della stampa alla fotografia che, come collezionista, considero la naturale continuazione della grafica. Questo tipo di impostazione scaturisce dal fatto che preferisco avere con chiarezza in mente una panoramica di un determinato momento della storia dell’uomo e dell’arte in tutto il mondo, piuttosto che sapere, nel massimo dettaglio e profondità, tutto sulla vita e le esperienze di un certo artista o di un certo gruppo di artisti vivente in un periodo determinato.

un museo specifico, di cercare una tavola sinottica per vedere quale arte si produceva in Cina, in Europa o in Africa mentre prosperava quel tipo di arte appena ammirata. Trovo entusiasmante osservare la nascita delle civiltà e le loro caratteristiche e studiarne le peculiarità che ne hanno permesso la nascita. Tornando alla stampa lo stesso principio informatore mi spinge a ricercare i pezzi più significativi al fine di poterne tracciare la storia. Infatti il folio stampato è sempre un catalizzatore per svolgere ricerche e studi che permettono di inquadrare l’artista stesso, il periodo in cui ha operato e le influenze che ha subito. Quando ho iniziato a raccogliere grafica, non era questo il progetto della collezione. Provengo anzi da un collezionismo diverso: quello di opere uniche, di solito olii su tela, di maestri contemporanei. Meglio, di giovani. Conobbi casualmente uno di questi e, in modo molto fortuito, feci i miei primi acquisti: due disegni, spendendo esattamente 100.000 lire. Era questo l’inizio del mio interesse per l’arte come collezionista.
Incominciai a frequentare qualche atelier di artisti, con qualcuno divenni amico.
Ma, interessandomi più a fondo di quanto non avessi mai fatto dell’arte, del suo mondo, frequentando gallerie, musei, case d’asta, sentivo sempre più l’esigenza di ampliare le mie conoscenze e la mia collezione ad opere più significative. Mi accorgevo che certe opere che mi erano piaciute, venivano superate; che altre mi interessavano maggiormente, che sentivo l’esigenza, affinandomi il gusto, di avere opere di Maestri i cui prezzi però erano molto più elevati di quelli a cui io ero avvezzo.
Ed è stato quello il momento in cui sono passato alla grafica, preferendo decisamente la qualità alla unicità che, cosa per me incomprensibile, per molti è fonte di inesauribile soddisfazione.
Preferivo cioè avere un eccezionale pezzo di grafica piuttosto che una brutta opera unica. Con una stessa somma, per esempio 500.000 lire, si poteva acquistare una splendida stampa originale di Mirò, mentre era assai difficile acquistare qualcosa di altrettanto valido in pittura. Purtroppo in Italia la grafica è sempre stata considerata un sottoprodotto per via della enorme ignoranza che la circonda alimentata tante volte da molti pseudo operatori del settore.
Una volta quindi approfondito il concetto di “grafica originale” ho iniziato questo tipo di raccolta, attratto, oltre che dal pregio artistico, anche dall’interesse tecnico, cercando di capire le varie sfumature espressive delle diverse tecniche usate dagli artisti. Ho venduto tutti i quadri che avevo, tranne qualcuno di qualche artista di cui sono amico e ho iniziato a raccogliere stampe di autori contemporanei, andando via via indietro nel tempo ma senza superare mai il valico rappresentato da Gova che è considerato la linea di demarcazione tra moderno e antico. La passione, coinvolgendomi sempre di più, mi induceva a dedicare molte serate allo studio e alla lettura di testi sulla grafica, e alla catalogazione in schede per il mio archivio, delle opere che a mano a mano andavo acquistando.
Credo infatti che sia importante per un collezionista avere una scheda e una fotografia di ogni opera presente nella propria collezione. Come redigere queste schede è un argomento che, come quello di conservare e incorniciare le stampe stesse, è stato oggetto di numerosi trattati, per cui trovo superfluo raccontare come lo faccio io.
A poco a poco mi sono abbonato a molte riviste italiane ed estere che trattano grafica in generale, a cataloghi di aste e di gallerie nazionali ed internazionali, a pubblicazioni di musei o gallerie pubbliche.
Esaminando tutto questo materiale non potevo non venire attratto da quei colossi come Dûrer e Rembrandt che lentamente mi hanno coinvolto a tal punto, da costringermi ad interessarmi anche del loro mondo e di quello dei loro contemporanei. Sono arrivato, attraverso di loro, a scoprire gli antichi con il loro enorme fascino, rendendomi però subito conto della grande difficoltà di conoscerne tutti i segreti.
Per loro, ancora di più che per i moderni, è importante avere o sapere dove consultare i libri con i riferimenti più importanti. La documentazione bibliografica, insieme alla redazione di un esauriente archivio della propria collezione, rappresenta un sussidio indispensabile per un vero collezionista.
La caccia e il reperimento di un libro divenuto introvabile dà la stessa soddisfazione della scoperta di una stampa rara. In fondo, quello dei libri, è il patrimonio più importante, perché attraverso di loro, si viene ad acquisire una conoscenza che niente e nessuno potrà mai togliere.
È proprio leggendo molte cose sulla stampa originale ed esaminando tanti fogli che lo studio e l’interesse vengono attratti dal “come” queste opere vengono eseguite. Le numerosissime tecniche che possono venire utilizzate, le infinite sfumature che possono essere colte, gli effetti che possono essere resi mischiandone più di una, l’uso dei diversi tipi di carta, sono altri campi che l’appassionato autentico sente il bisogno di approfondire. Sono aspetti della grafica importanti in quanto il conoscerli a fondo rende capaci di apprezzare maggiormente la stampa che si esamina raggiungendo una maggiore sensibilità critica, ritengo comunque che sia impossibile conoscere veramente a fondo una tecnica di stampa studiandola solamente sui libri, anche se redatti con numerose illustrazioni e fotografie. Sarebbe molto più interessante riuscire a trovare il modo e il tempo di sporcarsi le mani lavorando su un torchio. Lo studio delle tecniche mi ha aperto un nuovo mondo al quale mi ero inizialmente accostato, attratto solamente dalla grande abilità di coloro che lo popolavano e che si esprimevano soprattutto con la silografia. Parlo dei Giapponesi ed in particolare degli artisti che si sono manifestati nei secoli XVII e XVIII. Questo periodo, detto Ukijoe, è interessante a mio avviso, per tre ragioni: la prima per essere espressione di una civiltà allora pura e incontaminata, la seconda per essere così lontana dalla cultura occidentale, inducendo così ad entrare nel favoloso mondo della filosofia orientale, la terza perché ha ispirato molti grandi artisti impressionisti e postimpressionisti allorché verso il 1860 questa arte è uscita dai propri confini approdando anche a Parigi. L’arte dei Giapponesi è un mondo fantastico, di un fascino straordinario. Cercando in questo momento di citare qualche preferenza, mi vengono in mente tanti nomi e tante stampe, l’una splendida per la soffusa spiritualità, un’altra per la squisita eleganza, altra ancora per la forza che sprigionano o l’erotismo che emanano. Ho avuto il primo incontro con questo mondo dopo aver letto da qualche parte che a Genova c’era un museo di arte orientale con un eccezionale fondo di stampe. È il Museo Chiossone dove il primo sabato libero mi sono recato e dove è nato un altro Amore.
Tornando a pensare alle tecniche di stampa, mi viene in mente come tanti acquisti siano stati ispirati non solo dalla bellezza e dalla qualità del segno, ma anche, e certe volte soprattutto, dalla tecnica usata per l’opera stessa. Infatti considerando il filo conduttore della mia collezione che definirei didattica, molte volte sono stato indotto all’acquisto dal come un’opera era eseguita, preferendola magari a una più bella in quanto colmava una significativa lacuna della mia collezione.
Una mia tendenza è infatti anche quella di avere in collezione esempi di opere create con le varie tecniche più congeniali al singolo artista. Per esempio di Picasso, che è stato uno degli artisti più prolifici nel campo della grafica, sarebbe bello avere un’incisione, una litografia e un linoleum dei periodi migliori. Di Morandi basta invece una sola acquaforte. Essendo poi la collezione in continuo divenire, trovando una litografia di Picasso più bella e rappresentativa di quelle già in collezione, alienerò quella che ho sostituendola con quella qualitativamente migliore, continuando sempre la ricerca verso il più bello e il più rappresentativo nei periodi e nelle tecniche.
Per finire, ricordando di averlo scritto all’inizio, vorrei parlare della fotografia che apre anch’essa un mondo in parecchi punti totalmente diverso, ma per altri estremamente simile. Guardando le foto di Cartier-Bresson e analizzando il modo in cui sono stampate, si evince quanto la foto sia vicina alla stampa originale. Il fotogramma impressionato da Cartier-Bresson è stampato senza alcun taglio o correzione.
La sua grande abilità di artista lo induce a ritrarre il mondo utilizzando tutta l’ampiezza dell’obbiettivo e stampando esattamente l’inquadratura che ha ritratto nel mirino al momento dello scatto. Il nero intorno all’immagine stampata e l’angolo arrotondato come una lastra bisellata riportano direttamente al mondo dell’incisione.
Anche i cliché-verres non dimostrano in modo inconfutabile di avere genitori il bulino e la fotografia? E quanti artisti delle avanguardie non hanno utilizzato la macchina fotografica per le loro ricerche? Pochi. Non avrei mai creduto, se non mi fossi messo a ricercare anche queste testimonianze, quanti Futuristi o Costruttivisti o Espressionisti famosissimi per le loro opere create con mezzi, diciamo tradizionali, si siano espressi anche con la fotografia. Per non parlare dell’attività catalizzatrice di Stieglitz che intorno alla sua galleria 291 di New York ha fatto vivere una meravigliosa epopea alla fotografia finalmente considerata alla stregua delle altre forme d’arte che, coesistendo tutte, si esaltavano vicendevolmente.
Anche la mia collezione quindi vive cercando relazioni e conseguenzialità, dagli incunaboli alla fotografia. dai cliché-verres ai rayogrammi, dai Giapponesi a Toulouse-Lautrec cercando di trovare un filo conduttore che spieghi e racconti la storia dell’arte.”

Con il percorrere del tempo la mia collezione di fotografia andava via via arricchendosi, e proporzionalmente all’inverso, quella di grafica non trovava proposte altrettanto valide dagli artisti che usavano questo linguaggio per esprimersi. Senza dubbio gli artisti fotografi trovavano nella fotografia un mezzo più consono al linguaggio contemporaneo.

Avendo seguito anche nella collezione di fotografia lo stesso approccio che avevo utilizzato per la grafica e avendola “scoperta” attraverso il cliché verre, la mia attenzione collezionistica si è inizialmente concentrata sulle opere storiche; sugli “incunaboli” della fotografia per me rappresentati dal disegno fotogenico, dai talbotipi, ai dagherrotipi eccetera.

Quando quindi il mio interesse era all’apice era ancora possibile reperire i capolavori storici a dei prezzi abbordabili. Quando poi l’interesse per la fotografia è aumentato in modo esponenziale avevo ormai messo le basi per quella collezione che immaginavo. Non ho privilegiato un filone particolare ma ho fatto scelte funzionali alla ricostruzione della storia della fotografia, ho scelto esempi per tutti i periodi per poter comprendere meglio la storia del mezzo fotografico.

Quindi sono partito dal disegno fotogenico e dalle opere di Talbot. Poi acquistai una bellissima serie di Nadar, firmate lacca rossa, che illustrava la prima delegazione di diplomatici giapponesi a Parigi, tutti vestiti con abiti tradizionali e katana. Queste fotografie si relazionavano bene anche con la mia collezione di stampe giapponesi e hanno ispirato la mia raccolta di tsuba, le else delle katane.

Passando da David Octavius Hill e Robert Adamson autori che iniziavano a utilizzare la fotografia come arte, sono passato coloro che la usavano come documento come Le Grey, Fenton o Sommer.

Cito volentieri una meravigliosa edizione rilegata di Camera Work, la rivista che diventerà un punto di riferimento per tutti i cultori dell’arte fotografica, con artisti del livello di Steichen, Kuhn o Demachy con le sue indimenticabili stampe alla gomma bicromata. Poi gli autori che si sono cimentati nel sociale come Sander e Hine per arrivare ai rappresentanti delle avanguardie storiche che ho amato in modo particolare. Quindi avvicinandomi alla contemporaneità Lee Friedlander, Diane Arbus per continuare con la Woodman, Sugimoto, Nan Goldin, Newton, Horst.

Con l’apertura della galleria “Fotografia Italiana” il mio interesse si è focalizzato in particolare sugli autori italiani. Alcuni di loro li avevo già conosciuti al Festival di Arles, negli anni ’70/80, che frequentavo quasi ogni anno.

Con l’andare del tempo mi sono interessato sempre di più al rapporto diretto con i fotografi e con gli artisti-fotografi. Il contatto con loro mi arricchisce. Il desiderio del possesso è superato dal piacere di conoscere un artista di ammirarne l’opera illustrata da lui stesso.

Ho conosciuto molti autori italiani e intrattengo con moltissimi di loro un rapporto che mi ha gratificato a tal punto che è stato determinante per decidere di dedicare tutto il mio tempo alla “causa” della fotografia, cercando di dare il mio contributo affinché essa diventasse, a pieno titolo, protagonista del mondo dell’arte, sperando che a tutti coloro che lavorano con serietà e impegno fossero anche riservate delle soddisfazioni di carattere economico che per troppo tempo erano loro mancate. Parlo di MIA Fair che nelle prime edizioni riservava alle PROPOSTE MIA (gli artisti senza galleria che cercavano uno sbocco nel sistema dell’arte) una ventina di stand.

Una collezione nella collezione è stata anche quella dei libri d’artista, quelli che gli artisti auto pubblicano. Per me rappresentano la sublimazione e la quintessenza dell’arte contemporanea. Partendo dalla considerazione che la fotografia fa ormai parte dell’arte contemporanea, come dice Bruno Ceschel, che ha scritto il manifesto del self publishing il libro d’artista possiede “le caratteristiche che hanno plasmato il secolo scorso: l’adozione del processo industriale, le sperimentazioni concettuali, l’impulso democratico, sociale, e rivoluzionario”.

Se a tutto questo si aggiunge il fatto che queste opere d’arte sono frutto di un insieme di saperi e sensibilità che si fondono esaltandosi reciprocamente, l’oggetto artistico finale è di straordinario fascino. E non posso non considerare quanto sia favorevole il rapporto tra la gratificazione estetica e concettuale che un’opera di questo tipo può offrire, rispetto al costo, di solito irrisorio, che si deve sostenere per possederla.

Con l’apertura della galleria “Fotografia Italiana” l’attenzione si è spostata decisamente sugli autori italiani avendo come obiettivo quello di proporre artisti da mettere a confronto con quelli più famosi di altri paesi. Perché la scuola di Düsseldorf con i Becker e così tanto più valutata rispetto alla scuola di Modena con Ghirri? La risposta, probabilmente, si può trovare nell’enorme ritardo con cui le Istituzioni del nostro Paese, ma anche le aziende e gli enti privati, hanno maturato la convinzione dell’opera fotografica come opera d’arte.

Abitazione FC, Milano, 1985 - 1995
Fernand Leger, Le Vase, 1927, in una successiva collocazione in una cornice veneziana del XVII secolo
George Braque, Feuilles, couleurs, lumière, 1954

Collezione Grafica

Collezione Fotografica

Dettaglio Abraham Bosse (Tours,1602 - Parigi,1676) - Collezione privata Fabio Castelli